La Biennale di Architettura 2025 tra natura, tecnologia e adattamento
Fino al 23 novembre 2025, ai Giardini, all’Arsenale è aperta la 19esima Mostra Internazionale di Architettura dal titolo Intelligens. Naturale. Artificiale. Collettiva, organizzata dalla Biennale di Venezia
Nel cuore della Biennale di Architettura 2025, all'interno dell’Arsenale (uno degli spazi espositivi insieme a Giardini) si entra a fatica. L’aria è calda, pesante, satura di umidità e memoria. Vasche d’acqua, motori di condizionatori che scaldano invece di rinfrescare, un girone sensoriale che mette alla prova i corpi per risvegliare le coscienze. In fondo, nel buio, il Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto accende una domanda: come si abita il mondo che verrà? Una risposta univoca ancora non c’è, ma basta varcare la soglia e attraversare la prima stanza per capire, come quest’anno il tema sia davvero azzeccato e denso di significati.

Biennale di Architettura 2025: la domanda del futuro
Intelligens. Natural. Artificial. Collective, questo il titolo della mostra curata da Carlo Ratti e visitabile fino a domenica 23 novembre, chiarisce subito il suo approccio scientifico e collettivo, con oltre 750 voci da molteplici campi (scienza e tecnologia al primo posto) per costruire un’architettura flessibile, inclusiva e capace di affrontare il futuro con fiducia. Non è più tempo di fughe in avanti, di futuri perfetti da inseguire. Il punto di partenza è la realtà: calda, fragile, da ricucire. La parola chiave è adattamento. Non una rinuncia, ma un nuovo sguardo. Si costruisce a partire da qui, dal possibile.

Adattamento come rivoluzione gentile
La Biennale diretta da Carlo Ratti racconta proprio questo: una rivoluzione saggia e gentile, fatta di batteri e intelligenza artificiale, di robot e bucce di banana, di grafene e sterco di elefante che diventa mattone per costruire un arco monumentale. Sembra fantascienza, invece è il presente. Una nuova idea di materia prende forma: non più materiali inerti, ma organismi che respirano, crescono, si trasformano.
Si scoprono mattoni cresciuti con le spore, cementi generati da batteri che cristallizzano la sabbia, rivestimenti intelligenti che assorbono CO₂ o mutano colore con l’umidità. Il micelio – quel reticolo invisibile di funghi – cresce dentro stampi di terra, si intreccia come radici, diventando solido e leggero. Un’architettura che si autoripara. Che ricresce quando ferita. Altrove, stampi 3D accolgono terre minerali e fibre vegetali mescolate a vetro, alghe, conchiglie, spirulina.
Ogni impasto racconta un paesaggio, ogni forma narra una genesi. Strutture fotosintetiche abitate da batteri vivi reagiscono alla luce trasformando anidride carbonica in ossigeno: le case del futuro potrebbero funzionare come piante. In altri progetti, sono proprio le piante, con i loro bisogni e reazioni, a modellare il microclima interno degli ambienti.
Intelligenze vegetali
Anche ai Giardini, l’architettura si fa organismo. Nel padiglione belga, Bas Smets e Stefano Mancuso progettano edifici come microclimi, città che non soffocano ma respirano. L’intelligenza vegetale entra in scena: non più decorazione, ma ingegneria vivente. Come nella Fabbrica dell’Aria, dove le piante purificano l’ambiente e ridisegnano il ruolo dell’architettura. Così il futuro dell’abitare si adatta ai luoghi, si plasma con essi, e scompare quando serve. “To Grow a Building”, al Padiglione Canadese, unisce la precisione della tecnologia all’imprevedibilità della natura. Una speciale stampa 3D modella strutture in terra cruda arricchita con semi: una volta attivati, danno vita ad architetture viventi.

L’intelligenza che si guarda allo specchio
Una delle installazioni più affascinanti della Biennale di Architettura è Am I a Strange Loop?, dove il robot umanoide Alter3 - sviluppato dall’Università di Tokyo, dotato di sistemi di percezione, controllo motorio e memoria episodica - esplora i limiti tra percezione artificiale e autocoscienza. Attraverso un laboratorio aperto al pubblico, si mette in scena il possibile incontro tra macchina e coscienza.
Ma non è l’unico. All’Arsenale si incontra anche Magic Queen, un braccio robotico che coltiva un paesaggio 3D composto da terra, funghi e piante. Un giardiniere meccanico che cura la materia vivente, creando un’installazione in continua evoluzione. La robotica non sostituisce l’umano, lo accompagna. Come un artigiano senza carne, imita, apprende, agisce. E si fa strumento poetico di una nuova alleanza tra intelligenze naturali, artificiali, collettive.

La leggerezza del costruire
Alla Biennale, i materiali non sono più solo strutture: sono storie, intuizioni, paesaggi. Tutto convive: il digitale e il biologico, l’algoritmo e l’impasto, l’antico e l’ultra-contemporaneo. I materiali più avanzati nascono da gesti primordiali. E se l’architettura non è più solo costruzione, ma habitat, allora anche una tazza di caffè può diventare un atto politico. Al Canal Caffè si beve un espresso fatto con l’acqua dei canali, depurata sul posto. Un piccolo miracolo veneziano firmato dallo chef Davide Oldani. Così si esce dalla Biennale con un’idea diversa in testa: costruire oggi non è più lasciare un segno, ma sapere quando sparire. L’architettura che verrà sarà leggera, trasformabile, reversibile. Come un micelio. Come una promessa.
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