La luce che filtra da una finestra, un vaso di fiori lasciato sul tavolo, una coppa di frutta che sembra sospesa nel tempo.
È così che Pedro Almodóvar, maestro del cinema e grande narratore di passioni, svela il suo lato più intimo: quello del fotografo.
Con la mostra “Vida Detenida”, ospitata fino al 21 ottobre nello spazio Il Meccanico a Verona all’interno del festival Grenze Arsenali Fotografici, il regista spagnolo porta per la prima volta in Italia le sue nature morte.
Chi conosce Almodóvar per i suoi film, da Tutto su mia madre a Dolor y Gloria, rimarrà sorpreso davanti a questi scatti che parlano di quiete e tempo sospeso.
Oggetti quotidiani si trasformano in protagonisti: fiori che sembrano respirare, bicchieri che custodiscono segreti, stoviglie che diventano reliquie pop.
È la stessa estetica che attraversa il suo cinema, ma filtrata da un’intimità che rende le opere una sorta di confessione.
Il curatore Simone Azzoni descrive le fotografie come “vite ferme”, piccoli altari pagani che ricordano la pittura spagnola seicentesca ma con l’ironia e l’eccesso cromatico tipici di Almodóvar.
Un dialogo tra memoria e desiderio, in cui anche un limone tagliato a metà diventa manifesto di fragilità e bellezza.
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