L’addio a Robert Redford
Il divo che ha reinventato Hollywood si è spento a 89 anni nella sua casa nello Utah
Robert Redford, l’affascinante star del grande schermo diventato regista, produttore e fondatore del Sundance Film Festival, se ne è andato questa mattina, a 89 anni nella sua casa nello Utah. Si è spento serenamente nel sonno, tra le montagne che amava.

Dall’inquietudine giovanile alla scoperta del teatro
Nato a Santa Monica il 18 agosto 1936 in una famiglia modesta, Robert Redford non sembrava destinato al cinema. Figlio di un contabile e di una casalinga scomparsa prematuramente, fu un ragazzo inquieto: studente mediocre, appassionato di baseball, cacciato dalla squadra universitaria per il troppo bere. Tentò la strada della pittura, viaggiò in Francia e in Italia, dove studiò all’Accademia d’Arte di Firenze. Rientrato negli Stati Uniti, grazie anche alla moglie Lola Van Wagenen, si avvicinò al teatro: un insegnante lo segnalò per un ruolo a Broadway, dando il via a una carriera che lo porterà a realizzare oltre cinquanta film.
La leggenda della New Hollywood
Il successo arriva nel 1967 con A piedi nudi nel parco, accanto a Jane Fonda. Poi Butch Cassidy (1969) e La stangata (1973), entrambi con Paul Newman: due film che cementarono un’amicizia fraterna e consacrarono Redford tra i grandi divi. Con Sydney Pollack firmò un sodalizio memorabile: Come eravamo con Barbra Streisand, I tre giorni del Condor, La mia Africa con Meryl Streep. Da romantico irresistibile a protagonista di thriller politici, Redford incarnò un’idea di cinema capace di unire glamour e impegno.

Molto più che un divo romantico
Robert Redford è stato, per intere generazioni, il volto stesso del romanticismo sul grande schermo. Non un romanticismo convenzionale, ma un mix irresistibile di fascino naturale, ironia e malinconia. Accanto a Jane Fonda in A piedi nudi nel parco (1967), adattamento dal successo teatrale di Broadway, divenne il simbolo della commedia brillante americana, leggero ma non superficiale. Il pubblico si innamorò immediatamente di quell’eleganza disinvolta, che sembrava sgorgare senza sforzo.
Con Barbra Streisand in Come eravamo (1973), la sua immagine di eroe romantico si fece più complessa: un uomo bellissimo, ma incapace di vivere un amore che sfida le convenzioni politiche e sociali. Il film divenne un classico, tanto che la canzone omonima di Streisand è rimasta un inno struggente alle storie che non possono durare.

Poi arrivò La mia Africa (1985), in cui recitò accanto a Meryl Streep sotto la direzione di Sydney Pollack. Una delle scene più iconiche della storia del cinema – lui che lava i capelli a lei in un fiume africano – raccontava più eros ed intimità di mille sequenze di passione esplicita. “Quante volte vediamo personaggi che fanno l’amore?”, ricordava Streep. “Ma quante volte un uomo che lava i capelli a una donna?”. Un gesto semplice, che Redford trasformò in mito.
Dalle commedie leggere ai melodrammi intensi, Redford ha incarnato l’archetipo dell’eroe romantico moderno: capace di far sognare, ma anche di mostrare la fragilità maschile, lontano dagli stereotipi del macho hollywoodiano.
Il regista premiato
All’apice della carriera da attore, Redford scelse di passare dietro la macchina da presa. Il debutto con Gente comune (1980) gli valse quattro Oscar, tra cui miglior regia. Seguirono titoli come In mezzo scorre il fiume (1992), delicato dramma ambientato nel Montana, e Quiz Show (1994), che ottenne quattro nomination all’Oscar, compresa miglior regia. Con L’uomo che sussurrava ai cavalli (1998) conquistò anche il grande pubblico. Nel 2002 ricevette l’Oscar alla carriera.

Il Sundance e l’impegno civile
Nel 1981 fondò il Sundance Institute, organizzazione no profit che ha rivoluzionato il cinema indipendente. Tre anni dopo prese in mano un festival locale nello Utah e lo trasformò nel Sundance Film Festival, oggi uno dei più influenti al mondo. Grazie a lui, opere come Sesso, bugie e videotape di Steven Soderbergh e i primi film di Quentin Tarantino hanno trovato la loro strada. Parallelamente, Redford è stato un convinto ambientalista e un critico delle semplificazioni hollywoodiane, cercando nel cinema un senso culturale e politico.
Il ritorno sullo schermo
Negli ultimi anni alternò la produzione all’interpretazione. Nel 2013 fu protagonista solitario di All Is Lost, dove interpretò un marinaio in lotta con l’oceano. Poi Le nostre anime di notte (2017) accanto a Jane Fonda e Old Man & the Gun (2018), il suo ultimo ruolo da protagonista. Ha partecipato anche al mondo Marvel, in Captain America: The Winter Soldier e Avengers: Endgame.
Una carriera celebrata
Nel 2017, alla Mostra del Cinema di Venezia, ricevette con Jane Fonda il Leone d’Oro alla carriera: "La carriera da attore mi è sempre sembrata come scalare una montagna: ma quando arrivi in cima, che fai?", disse emozionato.

L’icona di stile
Bello, magnetico, spesso paragonato a Paul Newman, Redford incarnava un’eleganza naturale, senza artifici. Meryl Streep ricordò la celebre scena de La mia Africa, quando Redford le lavava i capelli in un fiume africano: "Dopo cinque take mi ero completamente innamorata di lui".
Vita privata
Redford lascia la moglie Sibylle Szaggars, artista tedesca sposata nel 2009. Dal primo matrimonio con Lola Van Wagenen ebbe quattro figli: Scott, morto appena nato; Shauna, James – scomparso nel 2020 – e Amy.
Un’eredità immortale
Due Oscar, un festival che ha cambiato le regole del cinema, una carriera da attore e regista che ha attraversato sessant’anni. Redford ha reso il cinema un terreno di bellezza, impegno e libertà creativa. Se ne va un divo senza tempo, ma il suo sguardo azzurro e il suo coraggio visionario resteranno vivi nei film che hanno fatto la storia.
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